La malattia mette ‘ko’ anche perché quel 30% dei casi in cui il carcinoma non è asportabile completamente o perché è troppo avanzato o perché localizzato in sedi dove l’accesso è chirurgicamente difficile, bisogna passare alla chemioterapia e spesso gli effetti collaterali sono pesanti e le recidive dietro l’angolo. Nel 70-80% dei casi infatti la malattia si ‘riaccende’ e nonostante i farmaci la mediana di sopravvivenza è ferma a circa 4 anni. Per dare una risposta proprio a queste pazienti e migliorare la terapia è in corso lo studio ‘Inovatyon’ (INternational OVArian cancer patients Trial with YONdelis), che coinvolge 598 pazienti in tutta Europa.
L’Italia è capofila del progetto con oltre cento Centri deputati all’arruolamento delle donne e con l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano tra i più attivi: «E’ uno studio di strategia terapeutica, per capire la capacità della trabectedina nell’aumentare la sensibilità alla tradizionale chemioterapia con il platino. L’obiettivo è dare una risposta alle donne che oggi recidivano e che noi vogliamo portare a una maggiore sopravvivenza», spiega Nicoletta Colombo, Direttore Programma Ginecologia Oncologica dello IEO in occasione del Congresso Americano di Oncologia (ASCO), che riunisci in questi giorni a Chicago oltre 30mila tra medici, specialisti, infermieri, associazioni e figure coinvolte nella lotta al cancro. Lo studio si muove dal presupposto che ci sia un ‘effetto sequenza’ positivo tra la trabectedina, una molecola che deriva da un piccolo organismo invertebrato marino, prodotta da PharmaMar, e il platino. Al momento in caso di recidiva del tumore infatti il medico sceglie una delle due opzioni. Con ‘Inovatyon’ si vuol capire e dimostrare che l’utilizzo della trabectedina possa aumentare l’efficacia della chemioterapia standard e quindi aumentare gli anni di vita e anche la qualità di vita delle pazienti.
«La molecola di PharmaMar, infatti, si è rivelata efficace e ben tollerata, anche per periodi molto lunghi e ad oggi il suo utilizzo rappresenta un’opzione strategica nella terapia del cancro ovarico recidivante –specifica la dott.ssa Domenica Lorusso, dirigente medico primo livello alla fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano- È un farmaco attivo anche in pazienti che hanno ricevuto diversi trattamenti precedenti ed ha un profilo di sicurezza accettabile. Il 30% delle pazienti parzialmente sensibili alla chemioterapia standard e il 44% di coloro che sviluppano reazioni allergiche al platino in seconda linea quando c’è la ricaduta possono giovarsi del beneficio aggiunto con trabectedina e PLD (doxorubicina liposomiale pegilata).
Oggi è l’unica combinazione non platino autorizzatai per pazienti platino sensibili che funziona e il vantaggio di questa combinazione non è vincolata alla prima recidiva ma si può usare anche dopo più recidive». In questo modo si offre alle pazienti un’alternativa sicura ed efficace, soprattutto per quelle forme che non rispondono ai trattamenti standard o per coloro che non li sopportano. Inoltre consente un recupero dalla tossicità della chemioterapia precedente, rendendo il corpo più sensibile a un trattamento successivo.
«La trabectedina ha la caratteristica unica di non avere una tossicità cumulativa, e questo la differenzia da altri chemioterapici, che vanno sospesi dopo un po’ perché non vengono più sopportati- aggiunge Colombo- Le terapie convenzionali presentano invece tossicità cumulative e persistenti, come la tipica neurotossicità, piuttosto invalidante perché causa formicolii alle mani e ai piedi, crampi e dolori, difficoltà a percepire il terreno sotto i piedi come se si camminasse su un terreno instabile. L’alternanza della combinazione con trabectedina consente di “smaltire” le tossicità delle terapie precedenti e potrebbe incrementare l’efficacia antitumorale della strategia terapeutica. Inoltre questo trattamento non dà neuropatia e non fa perdere i capelli». Sebbene quest’ultimo effetto collaterale in genere venga considerato lieve dal medico, rappresenta un problema per le donne che devono conviverci.
I NUMERI DEL TUMORE DELL’OVAIO
In Italia vivono oltre 45mila donne con pregressa diagnosi di tumore dell’ovaio, il 2% di tutte le pazienti con tumore. Oltre il 60% dei casi prevalenti ha affrontato la diagnosi da oltre 5 anni. La proporzione maggiore di casi prevalenti si osserva nella fascia di età 60-74 anni (326/100mila). E’ un vero e proprio ‘killer silenzioso’, responsabile ogni anno della morte di oltre 140 mila donne in tutto il mondo, oltre 3 mila in Italia. Rientra tra le prime 5 cause di morte per tumore tra le donne in età inferiore a 50 anni (quarto posto, 6% del totale dei decessi oncologici) e tra le donne con 50-69 anni d’età. Questo tumore rappresenta circa il 30% di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile e occupa il decimo posto tra tutti i tumori nelle donne, con il 3% di tutti i casi.
Le forme epiteliali hanno un’incidenza del 60% e rappresentano il 30% dei carcinomi del tratto genitale femminile. I tumori germinali dell’ovaio sono diagnosticati per il 40-60% in età inferiore a 20 anni, al contrario quelli epiteliali colpiscono sia le donne in età riproduttiva sia quelle in età avanzata. La maggior parte dei tumori ovarici epiteliali è sporadica, tuttavia nel 5-10% si riscontra un pattern familiare o ereditario. I fattori di rischio biomolecolari riguardano le mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2. Il gene BRCA1 e BRCA2 risultano mutati nel 15% delle pazienti con insorgenza del cancro entro i 70 anni ed è appannaggio delle forme sierose.
L’aggressività e la diagnosi spesso tardiva di questi tumori condizionano la prognosi: il 37% delle donne che hanno contratto un tumore dell’ovaio nella seconda metà degli anni Duemila risultano ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi. Rispetto al decennio precedente la speranza di vita appare comunque migliorata (+4-5%).